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Guerra interna all’UDC, D’Alia lascia il partito

Guerra interna all'UDC, D'Alia lascia il partito. Botta e risposta al vetriolo tra D'Alia e Cuffaro.

di Redazione

Lo scontro duro tra Casini e Cesa si ripercuote in Sicilia. Per lo scudo crociato si materializza lo spettro della scissione. Botta e risposta al vetriolo tra D’Alia e Cuffaro.

 

di  Salvo Messina

C’era una volta la Dc con il suo simbolo, lo scudo crociato, che per mezzo secolo è stata al centro della politica nazionale, baluardo dell’anticomunismo ai tempi della guerra fredda.
Nel contesto contemporaneo, della cosiddetta “Prima Repubblica” sepolta da “tangentopoli” e abbattuta per via giudiziaria, abbiamo uno sbiadito ricordo ma lo scudo crociato anche se oggi non sembra vantare i numeri di una volta, continua ad avere un flebile appeal, visto il forte attrito scaturito per accaparrarselo tra il presidente dell’Udc Pier Ferdinando Casini (filo renziano per il Sì al referendum) sostenitore del fatto che il “nemico non è più il comunismo, ma il populismo” e il segretario Lorenzo Cesa (per il No) che vuole riportare il partito nell’alveo del centrodestra. D'Alia

Nell’Isola, lo scontro fra Udc siciliana e segreteria nazionale ha raggiunto livelli alti dopo l’intervento di Cesa che ha sconfessato la linea politica dell’ex ministro Gianpiero d’Alia dichiarando nulli i congressi che hanno eletto segretario regionale il giovane trentacinquenne, laureato in teologia, insegnante di religione, Adriano Frinchi (sotto il profilo estetico un clone di D’Alia) e ricevendo per risposta la minaccia di un nuovo nome del gruppo Udc all’Ars. Era questione di tempo ma l’avvicinarsi della data del referendum ha diviso definitivamente le due anime dell’Udc: il segretario è per il No, l’ex ministro per il Sì ma dopo l’ultima uscita di D’Alia (“Il partito è morto”) è arrivato il deferimento ai probiviri e le sue immediate dimissione dal partito.
Facendo un passo indietro, nei giorni scorsi i “Centristi per il Sì”, battezzati da D’Alia, hanno esordito a Messina a sostegno del Sì al referendum costituzionale del 4 dicembre prossimo. Uno strappo che certamente non poteva passare inosservato all’interno del partito, visto da molti come propedeutico alla scissione.
L’Udc del Sì al referendum costituzionale è dal 2012 in sinergia con il Pd a sostegno del governo regionale siciliano guidato da Rosario Crocetta, diventato famoso anni fa per avere annunciato in un programma televisivo della RAI la soppressione delle Province (ad oggi tutte commissariate) e che ancora oggi non riesce a fare decollare i “liberi consorzi comunali”. Cesa che non manca occasione per rivendicare la sua amicizia con l’ex presidente della Regione siciliana, Totò Cuffaro, vuole uscire dal governo Crocetta e come prima mossa ha commissariato tutti gli organismi nell’Isola nominando il commissario regionale Antonio De Poli e la vicecommissaria Ester Bonafede (ex assessore regionale alla Famiglia della Giunta Crocetta) ma non ha dalla sua parte i deputati regionali e gli assessori Giovanni Pistorio e Gianluca Micciché (almeno sulla carta, visto che alcuni di loro hanno un costante dialogo dietro le quinte con la Buonafede).
Cesa si sta impegnando a costruire una nuova alleanza in Sicilia in vista delle prossime regionali riprendendo un dialogo con il centrodestra, ovvero con Gianfranco Miccichè, commissario di Forza Italia e Saverio Romano del Pid-Cantiere popolare. La sensazione di alcuni analisti politici è che più si avvicinano le scadenze elettorali e più le sorti dell’Udc sono quelle dello scioglimento o di un divorzio tra le componenti interne, ovvero una scissione.

Qualora Casini e Cesa divorziassero (dopo il referendum avremo probabilmente una risposta al riguardo), secondo i beni informati, potrebbe approfittarne Francantonio Genovese, pronto ad un passaggio da Forza Italia all’Udc targata Cesa e quindi alleata con gli azzurri. Se l’Udc piange, il Ncd non ride. Infatti, nell’Udc è guerra aperta a 360 gradi mentre all’interno del Ncd le divisioni sono sotterranee. Con queste lotte intestine, Area Popolare, rischia di non essere in grado di fronteggiare l’ondata d’urto dell’Italicum, soprattutto se non verrà modificata la legge elettorale.
E’ di dominio pubblico che D’Alia non ha simpatie né per i cuffariani né per Miccichè. Molti ricordano lui a capeggiare la rivolta dei quarantenni contro Cuffaro. E, in questi giorni, temendo, forse, che il partito in Sicilia non lo seguisse, ha citato Cuffaro “come alla guida di una corrente e interprete di una linea politica”, accusa respinta lapidariamente dall’ex presidente della Regione siciliana: “nulla di più falso, come sanno anche le pietre”, che ha anche ricordato di “essere interdetto dai pubblici uffici ma non dal pensiero e dal ragionamento, dall’osservazione, dall’analisi e dal commento sui fatti della politica”.

Ed ora giungono le dimissioni dal partito dell’ormai ex presidente regionale dell’Udc D’Alia con il paventato ritorno dei cuffariani a sventolare la bandiera dello scudo crociato in Sicilia.

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