Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – Testata di approfondimento fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalist* indipendenti

Disoccupazione giovanile e l’esodo come nefasta conseguenza

Cresce sempre il numero di giovani costretti a lasciare la propria terra in cerca di un occupazione...

di Redazione

La disoccupazione giovanile in Sicilia spinge un numero sempre maggiore di giovani all’esodo verso l’estero. L’emigrazione definitiva all’estero, però, passa sempre attraverso l’emigrazione transitoria nei paesi del Nord Italia. Identikit di un fenomeno in crescita

 

di  Luca Licata

La Sicilia è tra le regioni europee ‘maglia nera’ sul fronte dei giovani che non lavorano, non studiano e non seguono alcuna formazione. Secondo dati dell’Eurostat, i ragazzi fra i 18 e i 24 anni, cosiddetti Neet (Not engaged in Education, Employment or Training), in Sicilia, nell’ambito dell’Unione Europea, superano il 40 per cento, contro una media europea che supera appena il 16 per cento.
Molto alto nelle regioni meridionali anche il tasso di disoccupazione di lunga durata, cioè di coloro che restano senza lavoro per oltre 12 mesi.
Nel 2015, nella fascia d’età fra i 15 e i 24 anni si sono persi circa 7 mila posti di lavoro rispetto all’anno precedente. A gennaio di quest’anno, il tasso di disoccupazione giovanile è risalito al 39 per cento.

 

Il fenomeno dell’esodo giovanile nel Meridione

Questa situazione così accentuata spinge gli stessi giovani verso l’esodo. Tanto da creare un fenomeno con punte estreme di eccessiva criticità.
Centomila giovani meridionali, ogni anno, si danno alla fuga verso l’estero per cercare un futuro migliore di quello che vivono nel proprio paese.
Ogni anno, 100 mila giovani, pari ad una città intera, lasciano il Sud e vanno all’estero per conseguire un titolo universitario più facilmente spendibile, oppure per lavorare. Le mete più gettonate sono Inghilterra, Germania, Spagna, Romania, Balcani, Paesi Arabi e Cina. Del bacino di giovani che restano in Italia, ben 1 milione e 723 mila sono i giovani Neet, di età fra 15 e 29 anni, di cui parlavamo.

Per avere un fisiologico livello di occupazione in Sicilia sarebbe necessario un milione di posti di lavoro in più, per un totale di 2,3 milioni. Con questi numeri si eviterebbero le emigrazioni in cerca di lavoro fuori dall’Isola.
Cifre che nella realtà rappresentano una chimera ancora molto lontana. E così, l’intero Mezzogiorno d’Italia assiste al calo annuale della presenza di giovani. La loro via d’uscita è, infatti, fuggire all’estero.
I giovani del Sud sono abituati ad andare e venire da sempre.lavoro
Verso la fine degli anni Novanta, ricominciarono ad andarsene con maggiore intensità, e a non tornare quasi più. Quello del decennio precedente al nuovo millennio è, infatti, uno dei periodi in cui si registra un andamento più accentuato, quando, dopo due decenni di progressiva riduzione dei flussi in uscita dal Mezzogiorno, i meridionali ricominciano a muoversi.
È difficile parlare di nuova emigrazione oltre la retorica. Deve essere ancora forte il monito delle esperienze drammatiche dell’emigrazione meridionale del secolo scorso.
Le migrazioni interne degli ultimi dieci anni sono un fenomeno silenzioso, che però ha raggiunto dimensioni di grande rilevanza.

Ma cosa spinge i giovani verso un esodo che diventa sempre più di massa?

I posti di lavoro al Sud sono molti meno del numero di occupati meridionali. E così, quelli che vanno via sono sempre più numerosi. Molti di loro si potrebbero definire cittadini a termine. Quasi la metà ha un contratto a termine che non permette un trasferimento di residenza, né del lavoratore né tanto meno della famiglia, che resta nella terra d’origine: rientrano a casa nel weekend o un paio di volte al mese. Li si incontra negli aeroporti di Linate e Fiumicino, sui voli per Catania, Palermo o Bari; sui treni per Napoli o Cosenza. Bagaglio a mano, l’immancabile portatile: uno su quattro è laureato. Altri sono operai specializzati che lavorano nei grandi cantieri dell’Italia centro-settentrionale. Oltre la metà di loro ha meno di 35 anni.

Questa ‘nuova migrazione’ la dice lunga sul divario tra  Sud e  Nord del Paese e dimostra che la flessibilità dei rapporti di lavoro, quasi sempre, si traduce in precarietà. In questo quadro, l’emigrazione ‘precaria’ è percepita come condizione transitoria. Transitoria, ma quasi sempre verso la definitiva emigrazione.

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