Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – Testata di approfondimento fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalist* indipendenti

Tra monnezza e monnizzari. Viaggio nel complesso universo dei rifiuti

di Redazione

Discariche abusive o fuori da ogni logica pianificatoria. Lavoratori assunti su base clientelare. Raccolta differenziata lontana dagli standard fissati dalla normativa. Impianti inesistenti o fatiscenti. Uno sfacelo ambientale, quello siciliano, dovuto a una classe politica che, attraverso scelte scellerate, ha dilapidato miliardi di euro

di Patrizia Romano

Sono state versate tonnellate di rifiuti in discariche fuori da ogni logica pianificatoria e prive dei minimi requisiti di sicurezza. Sono state assunte centinaia di lavoratori su base clientelare, senza attribuirgli giuste mansioni. Non si è fatto nulla per contenere la produzione di rifiuti che, negli ultimi anni è cresciuta in maniera esponenziale. Non è stato fatto alcuno sforzo per incentivare la raccolta differenziata che, secondo la normativa vigente, avrebbe dovuto superare il 35% entro il 2006 e che, invece, continua a mantenersi su livelli lontani da quelli espressi dalla normativa. Non si sono costruiti impianti di compostaggio per fare concime dai rifiuti organici. Non è stata bonificata alcuna area compromessa da inquinamento grave.

Il problema dei rifiuti in Sicilia, negli ultimi anni, ha assunto proporzioni tali da diventare drammatico. Uno sfacelo ambientale che si deve ai ritardi e alle inadempienze della classe politica che, attraverso scelte scellerate, ha dilapidato miliardi di euro, aggravando il problema. Lo stato di emergenza nasce, infatti, dalla cattiva gestione, che  ha impedito alla nostra regione di allinearsi, in materia ambientale, al resto d’Italia e d’Europa.

Riciclaggio dei rifiuti: dalla raccolta differenziata agli impianti di riciclo

Il decreto Ronchi, riaperto nel ‘97, in materia di riciclaggio dei rifiuti, prevede la raccolta differenziata come presupposto fondamentale per il riciclo, stabilendo una media nazionale del 35%. La Sicilia è  l’ultima regione italiana per raccolta differenziata, con una percentuale del 9.41%: lontana, quindi, non solo dalla media nazionale, ma anche dal 21% della media riportata dalle regioni del Sud.

Vediamo nello specifico: su una popolazione di 5 milioni e mezzo circa di abitanti, si  producono poco più di 2 milioni e mezzo di tonnellate di rifiuti, che equivalgono a 517 kg per abitante all’anno, al di sotto della media nazionale di 536 kg a persona. Il problema è che di questi 517 kg, ben 467 sono di raccolta indifferenziata, appena 48 di raccolta differenziata e 2 di rifiuti ingombranti. Quindi, più di 2 milioni di tonnellate di indifferenziato, cioè il 90% e appena 245.612 tonnellate di differenziato, pari a poco più del  9%.

In Sicilia, la provincia meno inadempiente è Trapani, la più inadempiente è quella di Enna, mentre Messina si ritrova nella mediocrità di valori, comunque, sempre molto bassi. Percentuali bassissime in tutte le altre province siciliane.

La Sicilia risulta inadempiente fin dal ’99 e, pertanto, è stata commissariata dal governo di Roma. Commissari o no, la situazione è rimasta invariata e la presenza del commissario è servito soltanto ad aumentare le spese.

 

Discariche

Fino a oggi la gestione dei rifiuti è stata condotta puntando prevalentemente sullo smaltimento dei rifiuti presso le discariche, che altro non sono che enormi fosse ottenute mediante escavazione di un suolo, preferibilmente argilloso e quindi impermeabile, in cui vengono versati i rifiuti fino al riempimento della stessa.

L’acqua piovana che passa attraverso i rifiuti trascina con sé sostanze organiche e inorganiche dei rifiuti. Anche la decomposizione della frazione organica produce liquidi ricchi di batteri. Tutti liquami, denominati “percolato”, che, nei casi in cui la discarica non è costruita e gestita come si deve, inquinano i corsi d’acqua o le falde acquifere. È ciò che avviene più frequentemente e nella maggior parte dei casi.

Per assolvere efficacemente il proprio ruolo e, quindi, limitare le emissioni nocive e non diventare fonte di inquinamento per l’ecosistema, una discarica deve essere progettata in modo adeguato e secondo le norme di legge. In primo luogo, dovrebbe essere realizzata con uno o due strati impermeabili sul fondo e dotata di un sistema di drenaggio che raccoglie il percolato, inviandolo agli impianti di depurazione. Inoltre, dovrebbe essere circondata da una barriera geologica in modo da isolare i rifiuti dal terreno, da rispettare gli standard igienici e riutilizzare i biogas prodotti come combustibile per generazione di energia. La normativa definisce anche il piano di sorveglianza e controllo con i necessari parametri chimici, chimico-fisici, idrogeologici e topografici da determinare periodicamente con una frequenza delle misurazioni. Sempre a proposito di piani di sorveglianza, queste strutture non possono essere utilizzate per i rifiuti indifferenziati. L’Unione europea ha stabilito che in discarica devono finire solo materiali a basso contenuto di carbonio organico e materiali non riciclabili.

Insomma, secondo la normativa, queste strutture sono dei
veri e propri impianti per la degradazione e il confinamento definitivo dei rifiuti.

La normativa nazionale, che recepisce la direttiva europea,  prevede tre tipologie differenti di discarica: la discarica per rifiuti inerti; la discarica per rifiuti non pericolosi, come quelli solidi urbani; e la discarica per rifiuti pericolosi, tra cui ceneri e scarti degli inceneritori. Nella realtà, su queste aree vengono depositati, in modo non selezionato e permanente, i rifiuti solidi urbani e i rifiuti derivanti da varie attività che, in seguito alla loro raccolta, non sono stati riciclati.

In Sicilia si contano 793 discariche: 165 a Messina, 122 a Palermo, 87 ad Agrigento, 81 a Siracusa, 51 a Catania, 47 a Caltanissetta, 40 a Trapani, 35 a Enna e 19 a Ragusa. Di queste, però, soltanto 145 sono attive e in esse confluiscono 2 milioni e 500 tonnellate di rifiuti solidi urbani all’anno. Ben 647, invece, sono inattive. È inutile sottolineare i livelli di saturazione che si raggiungono nelle discariche attive.  Secondo il decreto Ronchi, il 35% dei rifiuti dovrebbe essere riciclato attraverso  gli impianti di stoccaggio, il 50% raccolto per gli impianti di compostaggio e soltanto il 15% destinato alle discariche. Invece, il territorio siciliano è contaminato proprio dalle discariche e da siti inquinanti.

Discariche abusive

Ad aggravare la situazione, si aggiungono  le discariche abusive, di cui la Sicilia  è piena. Queste non sono dotate di nessun sistema di impermeabilizzazione, captazione del percolato e del biogas e spesso sono situate in posti assolutamente non idonei a ospitare una discarica. Come se non bastasse, la maggior parte delle volte, raccolgono anche rifiuti pericolosi, che dovrebbero essere smaltiti in tutt’altro modo.

L’Isola pullula di discariche abusive, altamente inquinanti, pericolose e sulle quali non viene effettuato nessun controllo. Si tratta di strutture spesso connesse ad attività mafiose attraverso le quali viene esercitato il sempre più lucroso traffico illegale dei rifiuti, gestito dalle ecomafie.

Il ministero aveva richiesto i piani sulle procedure di sicurezza adottate dalle Regioni per chiudere o bonificare le discariche abusive sul territorio, ma dalla Sicilia non è partita alcuna risposta in merito. Sull’intero territorio isolano si contano oltre 90 discariche illegali.

Ogni tanto, mafia e potere permettendo, le forze dell’ordine intervengono  per ripulire l’Isola dalle discariche abusive che  infestano il paesaggio, minando la salute dell’uomo, della fauna e della flora, ma troppo di rado. I dati del resto parlano chiaro: tra le discariche abusive  presenti sull’intero territorio nazionale, più della metà si trova in Sicilia.

Impianti di riciclo

In un sistema di riciclo completo e funzionale, dalla raccolta differenziata si dovrebbe passare agli impianti di riciclo. Tra questi, gli impianti di stoccaggio che,  nel complesso meccanismo di riciclaggio, servono a compattare le materie prime provenienti dalla raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani. Dal centro di stoccaggio i materiali vengono poi trasferiti agli impianti di recupero, riciclaggio e smaltimento finale.

Gli impianti di compostaggio, altro anello del sistema, sono, invece, quegli impianti dove convergono i rifiuti organici umidi di origine vegetale e animale che, attraverso un particolare procedimento di lavorazione, verranno trasformati in concime per l’agricoltura.

Anche in questo caso la  Sicilia è messa proprio male. Sull’intero territorio, esiste un solo impianto, nel Trapanese, per il riciclaggio del vetro; uno nel Nisseno per la plastica; nessun impianto per il riciclaggio di carta, di acciaio, di alluminio e legno.

Assenti pure gli impianti di compostaggio. Un fiore all’occhiello dovrebbe essere stato rappresentato dall’impianto di Grammichele, il primo in Sicilia a tecnologia avanzata. Ma quando apriamo questo capitolo, veniamo risucchiati in una spirale burocratica dalla quale è difficile districarsi. Fatto sta che l’impianto parte… parte, e rimane fermo.

Rifiuti speciali

I rifiuti speciali rappresentano una categoria molto delicata e particolare. In particolare, sono considerati rifiuti speciali i residui di alcune attività agricole e industriali, gli avanzi di attività di recupero e smaltimento di altri rifiuti, come i fanghi prodotti dalla potabilizzazione, nonché altre tipologie di trattamenti delle acque.

Proprio per la particolarità che li caratterizza, il trasporto, trattamento e smaltimento di questi rifiuti andrebbe gestito nel rispetto di particolari normative, al fine di non procurare danni irreversibili all’intero ecosistema. In Sicilia, in barba alla normativa vigente, i rifiuti speciali finiscono nei cassoni dei rifiuti domestici oppure abbandonati ai bordi delle strade o, ancora peggio, dispersi nell’ambiente.

Non è facile trovare qualcuno in grado di ritirare gli scarti di materie plastiche derivanti dalla lavorazione o dalla rimozione di insegne. Altrettanto avviene per le lampade al neon, le fluorescenti o simili. Alcuni di questi rientrano nell’elenco dei rifiuti speciali pericolosi.

Purtroppo il problema non riguarda solo l’inefficienza e la scarsa professionalità dei consorzi o delle aziende autorizzate al ritiro dei rifiuti. È l’intero sistema regionale, incapace di far fronte alle esigenze di raccolta e smaltimento dei rifiuti, sia urbani domestici sia speciali. Non si ritirano i rifiuti perché mancano i centri di raccolta e la possibilità di smaltirli o riciclarli. Le prospettive di una soluzione si allontanano quando si pensa che il piano di ciclo dei rifiuti per la Sicilia, firmato dall’allora commissario all’emergenza per la spazzatura, Salvatore Cuffaro risale al 2002 e ancora oggi non si intravede alcun cambiamento. Ogni tentativo viene risucchiato nel labirintico connubio mafia-potere.

Inceneritori in Sicilia

Altra possibilità per lo smaltimento dei rifiuti potrebbe essere quello dell’incenerimento. Ma attenzione. Quando parliamo di inceneritori o termovalorizzatori (in un’accezione più moderna), si apre un capitolo molto delicato e controverso per la salute del nostro ecosistema.

Un termovalorizzatore è un inceneritore che produce energia. Esso non accoglie in maniera indiscriminata tutti i tipi di rifiuti. In realtà, dovrebbe rappresentare l’ultima spiaggia per carta, legno, plastica e tutto quanto può essere bruciato senza sprigionare sostanze tossiche e, nel contempo, produrre elettricità.

I sostenitori di questi impianti sostengono  vantaggi non indifferenti, come un notevole alleggerimento per le discariche e una produzione a basso costo di energia. Di avviso decisamente contrario, gli ambientalisti che contrappongono pesanti svantaggi, come la dispersione nell’atmosfera di gas, come la diossina, prodotta dalla combustione di materie plastiche, coloranti, vernici e altro, e polveri nocive.

L’inceneritore, comunque,  necessita di discariche per i residui  non riutilizzati e per il materiale non combustibile non recuperato, cosiddetto inerte. Vista l’inefficienza di discariche non si capisce bene come si potrebbe pensare agli inceneritori come una soluzione.

Quella dei termovalorizzatori rimane, comunque, una questione ambigua e controversa. In realtà è il termine altisonante di un impianto attorno al quale dovrebbe ruotare il ciclo dei rifiuti in Sicilia. Il tutto condito da roboante pubblicità creata ad hoc dalle multinazionali detentrici di brevetto per l’incenerimento.

Eppure, ai nostri politici, l’idea di questi controversi impianti non dispiace affatto.

L’ex commissario per l’emergenza rifiuti, Totò Cuffaro ne ha voluti ben quattro: uno a Bellolampo, uno a Casteltermini, un altro a Melilli e l’altro, infine, ad Augusta. Una vicenda, questa, ancora tutta piena di ma e se.

Anche in tempi più recenti, questi impianti hanno rappresentato appannaggio per i politici per interessi poco chiari.

Raffaele Lombardo, a poche settimane dal voto ha disposto la progettazione, la realizzazione e la gestione degli impianti di termovalorizzazione individuati nel piano regionale di gestione dei rifiuti. Una disposizione che, in soldoni, avrebbe rappresentato  un affare da 200 milioni di euro, nonché uno spreco di denaro pubblico. E visto l’importo dell’affare, non possiamo escludere del tutto che dietro a questa repentina decisione dell’ex governatore a ridosso delle elezioni, potessero nascondersi interessi economici ed elettorali. Certo il rischio che gli inceneritori possano creare gruppi di potere affaristico-clientelari è forte.

I dati, comunque, sono, spesso, più esaustivi delle parole. L’esperienza con gli inceneritori privati non si sta rivelando un buon affare. Uno di 800 tonnellate al giorno spende 12 milioni di euro l’anno per ricavarne soltanto 8, con una perdita, quindi, di 4 milioni di euro l’anno.

Eppure esistono dei modelli di smaltimento dei rifiuti che potrebbero fare risparmiare fino al 70% di spesa rispetto al costo di un inceneritore, come, per esempio, i modelli di stoccaggio dei rifiuti basati sul riciclo totale. Attraverso questi, la spazzatura differenziata viene lavorata e trasformata in materia da consegnare ad aziende che la impiegano nei propri cicli produttivi. Grazie a questo impianto sono stati riprodotti oggetti di arredo urbano, come panchine, pavimenti, tavoli, giochi.

L’incenerimento dei rifiuti, secondo gli ambientalisti, rimane, comunque, la pratica più costosa e più nociva per l´ambiente e per la salute.

Quando pensiamo all’iter perseguito per l’autorizzazione degli impianti siciliani, non possiamo fare a meno di ricordare la torbida vicenda che ha coinvolto due dirigenti chimici dell´Assessorato Regionale, rimossi dal proprio incarico per avere negato l´autorizzazione alle emissioni in atmosfera di tali impianti.

Il piano di trattamento dei rifiuti in Sicilia, cui si è dato il via libera lo scorso giugno, mostra una forte incongruenza di obiettivi. Da un lato, disattendendo le indicazioni della Comunità Europea, prevede la costruzione di 4 mega impianti di incenerimento con una potenzialità di oltre 2.000.000 di tonnellate all’anno, potenzialità decisamente superiore alla mole di rifiuti prodotta nell´Isola, mentre dall´altro auspica il potenziamento della raccolta differenziata, del recupero e del riuso.

Tasse di servizio e disservizio

In Italia l’onere della gestione dei rifiuti è a caricato dei comuni, che finanziano questo servizio con un’apposita tassa per la spazzatura, la Tarsu. In genere, questa tassa è proporzionale ai metri quadri  dell’abitazione e al numero delle persone che vi risiedono, ma sarebbe più corretto valutare l’effettiva produzione di rifiuti differenziati e indifferenziati, come viene fatto in alcuni comuni più virtuosi.

La spesa principale consiste nel costo di trasporto dalle utenze alla discarica, che di solito è sita in territorio demaniale, di proprietà dello stesso comune. Se la spazzatura è depositata nel terreno di un privato o di un altro comune, i rifiuti vengono pesati e viene pagato un corrispettivo proporzionale al volume o al peso degli stessi rifiuti. Il costo è quindi proporzionale alla produzione di rifiuti.

La permanenza dei rifiuti per lunghi periodi di tempo in discarica (su terreno demaniale) comporta pochi oneri economici di gestione, se, ovviamente non ci pone il problema dell’impatto ambientale. La saturazione delle discariche è una questione molto pesante e rappresenta una delle principali cause del cosiddetto ‘turismo dei rifiuti’, cioè lunghi viaggi in attesa dello smaltimento finale.

Se i rifiuti sono raccolti in maniera differenziata e poi venduti ai consorzi per il riciclaggio, entrerebbero soldi nelle casse comunali (oltre a godere di incentivi pubblici), se invece si conferiscono in discarica o ad un inceneritore si deve paga il gestore della discarica o dell’inceneritore. Questo sistema ha portato ad un enorme aumento della spesa, legato a consulenze profumatamente pagate, centinaia di assunzioni clientelari, eccetera.

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